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Archivio di Stato di Pesaro Urbino

Viaggiare per... sperare

La ricerca di condizioni migliori di vita spinge migliaia di uomini e famiglie intere a mettersi in viaggio dalla provincia di Pesaro e Urbino per trovare lavoro all’estero, dando origine a un flusso migratorio che, iniziato gradualmente negli ultimi due decenni dell’Ottocento, avrà un’impennata dal 1906 al 1912, per riprendere con la grande crisi degli anni Trenta e con forza dopo il secondo dopoguerra. Le testimonianze di Sisto Antonini, morto a Marcinelle l’8 agosto 1956, di Umberto Romani e dei fratelli Marchionni ci raccontano le storie di chi ha intrapreso questo viaggio di speranza verso le miniere nel Belgio e il baule di Augusto Ansuini ci ricorda il lungo viaggio che ha portato i nostri emigranti ad attraversare l’oceano per trovare migliori opportunità di vita e di lavoro in America. Sisto Antonini e i suoi fratelli, Marco e Vitaliano, rimangono orfani giovanissimi. Sisto è il maggiore e nel 1938 decide di andare a lavorare in miniera a Carbonia in Sardegna. Nel 1953 accetta le condizioni offerte dal Belgio e parte con la moglie e i due figli più piccoli, Vitaliano e Maria, per lavorare nella Miniera di Marcinelle. In Italia rimane Cesare, il figlio maggiore, che ha studiato in seminario e ha fatto un corso per aviatore, ma quando una malattia lo costringe a rinunciare decide di raggiungere la famiglia a Marcinelle. In Belgio si ritrova costretto anche lui ad andare a lavorare in miniera perché per gli immigrati non era facile trovare altri lavori. A Marcinelle la famiglia Antonini vive nelle baracche degli ex prigionieri di guerra, fredde in inverno e invivibili in estate, ma il disagio è compensato dalla presenza della famiglia riunita. Con Sisto lavorano in miniera anche il nipote Fausto e il cognato Edo Dionigi e nelle occasioni di festa e nelle ricorrenze religiose le baracche sono meno squallide e la vita è più sostenibile. L’8 agosto 1956 sogni e speranze si interrompono drammaticamente quando un incendio trasforma il Bois du Cazier in una grande tomba per 262 minatori di cui 136 italiani e, di questi, 11 della provincia di Pesaro e Urbino. Sisto lavorava in uno dei livelli più bassi ed è stato uno degli ultimi ad essere estratto. La sua salma arriva a Pesaro alla fine di dicembre e con il suo funerale per la famiglia Antonini si chiude il progetto di vita e di lavoro nelle miniere del Belgio. Cesare l’8 agosto 1956 sarebbe stato al lavoro nello stesso turno del padre, ma sarà salvato da un’offerta di lavoro che lo aveva fatto scendere in Italia. Edo Dionigi non avrà la stessa fortuna, tornato in Belgio a luglio, l’8 agosto era il primo giorno in cui tornava al lavoro. Umberto Romani passa i primi 14 anni della sua vita affidato a una zia e poi in orfanotrofio, perché la mamma, ragazza madre che lavora come domestica, non può occuparsi di lui. La sua vita cambia quando la mamma decide di raggiungere il marito in Belgio dove era andato a lavorare in miniera. Nel settembre 1952 Umberto e la mamma salgono sul treno pieno di emigranti con destinazione Bruxelles. Sul treno avverte la tristezza dell’abbandono, ma anche la speranza e i sogni per una vita migliore. A sedici anni inizia a lavorare in miniera pieno di entusiasmo: “ero finalmente diventato anch’io un minatore uguale a tanti, italiani, polacchi, marocchini, greci, spagnoli, tutti lì in Belgio a cercare di migliorare la propria vita”. L’entusiasmo si spegne alla prima discesa: “sceso dall’ascensore mi guardai intorno […] e poi ebbi un sussulto: ero sceso all’inferno”. Umberto vive da vicino la tragedia di Marcinelle, l’8 agosto 1956: “Un fumo denso saliva dal cielo quel giorno, la miniera bruciava e 720 minatori erano imprigionati a 975 metri di profondità. […] In superficie, intanto la tragedia prende il volto di centinaia di donne e uomini radunati dietro i cancelli in attesa di avere notizie sui loro cari, […] fra questi c’eravamo anche io e mio fratello Giovanni in preda all’angoscia”. Nel 1956 Umberto e la sua famiglia decidono di andare a lavorare a Charleroi, ma in un solo anno Umberto perde il padre, colpito da silicosi, si ammala e non è più in grado di lavorare e nel 1960 rientra definitivamente in Italia dove con l’Associazione marchigiana lavoratori emigrati (Amle) e il supporto della Cgil, si impegnerà per garantire il diritto all’assistenza sanitaria agli emigrati tornati in Italia e al riconoscimento delle pensioni per invalidità ottenute in Belgio. I fratelli Livio, Gino e Celso Marchionni sono di Colbordolo, con i genitori, nel secondo dopoguerra emigrano in Belgio, per andare a lavorare in miniera. Nel 1954 Gino e Celso tornano in Italia per sposarsi, per poi ripartire per il Belgio insieme alle mogli. Nei primi anni Sessanta Celso rientra in Italia, seguito pochi anni dopo dal fratello Gino. Livio è rimasto a lavorare e vivere in Belgio. L’emigrazione dalla provincia di Pesaro e Urbino vede prevalere le destinazioni europee e nel secondo dopoguerra i flussi verso gli Stati Uniti, Canada e Argentina si vanno esaurendo. Tuttavia, alcune famiglie continuano a scegliere le mete transoceaniche quando hanno parenti che avevano aperto loro la strada. È il caso di Augusto Ansuini e Paola Binotti di Isola di Fano che partono per Chicago nel 1951. I genitori di Paola, Romolo Binotti calzolaio e Carolina Del Vecchio ricamatrice, erano emigrati negli Stati Uniti agli inizi degli anni Venti. Al contrario di questo primo esodo che ha coinvolto braccianti, operai e artigiani con un livello medio basso di istruzione, nel secondo dopoguerra saranno geometri come Augusto o maestre elementari come Paola, a scegliere l’emigrazione per avere migliori opportunità professionali negli Stati Uniti.

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Ultimo aggiornamento: 05/04/2024